FAKE, 2018
installazione site specific
Piante, luce rossa, acqua (400x300cm)
Galleria Francesco Pantaleone, Palermo
Courtesy the artist, Alfio Sciacca and Planeta srl, Catania



FAKE, 2018
Site specific installation
Plants, red light, water (400x300cm) 
Galleria Francesco Pantaleone, Palermo
Courtesy the artist, Alfio Sciacca and Planeta srl, Catania


FAKE,
testo di Lorenzo Madaro


Il rapporto dialettico tra realtà e menzogna rientra compiutamente nella speculazione teorica (e non solo) che riguarda l’arte, da sempre. E, naturalmente, anche la vita, poiché d’altronde l’arte è una delle sue possibili propagazioni, come ci dimostra, costantemente, Loredana Longo con la sua ricerca.
Se Zeusi, per rivelare le sue sofisticate capacità tecniche ad Apelle, dipinse un canestro di frutta così perfetto che anche gli uccelli, ingannati, si avvicinavano per beccarne l’uva, gli Aztechi, per risparmiare il proprio re dal consueto sacrificio in onore degli dei, ne rintracciavano un altro, finto, destinato automaticamente alla decapitazione, intesa come omaggio sacrificale. Probabilmente, entrambe sono tra le primissime fake che siano state tramandate nella storia dell’uomo, a dimostrazione che – pur con differenti declinazioni – il dicotomico rapporto tra verità e il suo opposto è una costante nella storia dell’identità antropologica collettiva. Questa relazione nella stretta contemporaneità è arrivata alle estreme conseguenze, proprio per il proliferare di notizie e dei mezzi destinati alla loro diffusione capillare e insieme (estremamente) disordinata. F as fake, il film diretto e interpretato da Orson Welles nel 1973, è in tal senso un paradigma, perché mette in scena uno straordinario repertorio di storie legate proprio all’arte e alla sua falsificazione, ai suoi valori intellettuali e, soprattutto, economici, intessendo storie e connessioni legate soprattutto alla negazione della realtà e all’alto tasso di attendibilità del falso.
Loredana Longo è portatrice sana di un approccio all’arte che non solo prende atto del presente, ma lo interpella con costanza, spesso rinunciando totalmente a forme narrative di analisi, ed optando piuttosto verso una sintesi di senso che trova forma nella scrittura di una singola frase o di una parola chiarificatrice. Setacciando il suo tempo, nelle sue parti liminali vicine al paradosso e alle sue negazioni, Longo concepisce una grande installazione site-specific nella quale ricostruisce, in larga scala, la parola Fake con piante graminacee, posizionandola su una grande parete vegetale di una sfumatura cromatica dissimile, nell’antro del cortile interno della galleria Francesco Pantaleone di Palermo. In collaborazione con l’architetto paesaggista Alfio Sciacca, l’artista ha elaborato questa grande architettura di brandelli di natura, da cui si è generata una delle sue riflessioni propedeutiche alla nascita di questo nuovo lavoro. 
«Spesso siamo propensi a pensare che le uniche cose “vere” siano legate alla natura, perché reale e spontanea; giustifichiamo la natura anche quando ci investe con i suoi cicloni, temporali, terremoti, eruzioni, solo per il fatto che la natura c’era prima di noi, prima della presenza degli esseri umani, prima che noi la trasformassimo, come se noi fossimo degli alieni rispetto ad essa, come se non ne facessimo parte», rammenta Longo e, conscia della consueta evoluzione delle piante installate nella sua opera, prevede che, a distanza di alcune settimane, la vegetazione crescerà e la scritta Fake non sarà più perfettamente individuabile. A rivelare la sua presenza, a quel punto ormai sorpassata, ci sarà un neon, posizionato sin dal principio ai piedi di Fake a sottolineare la parola stessa.  

Per Herbert  Marcuse, “L’arte deve riarticolare gli inciampi del presente”, la stessa pratica artistica ha quindi la possibilità di osservare ciò che è attorno a noi, rassembrando le reliquie di un mondo in disfacimento attraverso qualcosa di tangibile, concreto, ma allo stesso tempo non estrapolato dalla realtà stessa. Loredana Longo, a differenza di altri artisti che, come lei, riflettono sulle sfere del tempo odierno rifiuta l’utilizzo di materiali video e di documenti provenienti dal mondo del reportage giornalistico, prediligendo invece la costruzione di nuovi apparati e inedite membrane di comprensione del tempo in cui vive. Falsificando la parola fake, Longo continua la sua individuale semiotica del linguaggio della comunicazione, anche con ironia scanzonata, ma sempre con una progettualità che la spinge, di volta in volta, a relazionarsi con materiali, spazi e forme inedite per la propria ricerca visuale.

Rinunciando ai repertori iconografici – d’altronde con Victory, a cui è certamente legata l’opera Fake, certamente primigenia di un nuovo ciclo di lavori, ha già ribadito questa fondamentale propensione della sua indagine –, Loredana Longo sintetizza in una sola parola un’attitudine che appartiene al nostro tempo, soprattutto da quando sulla sconfinata piattaforma di internet e, soprattutto, dei social network, ognuno di noi potrebbe (ed accade) costantemente inventare una notizia falsa. Basterebbe leggere alcuni commenti relativi agli interventi del sito internet Lercio sui social: ci sono lettori che considerano veritiere notizie ispirate a fatti di cronaca reali, ma evidentemente assurde. È, questo, il gigantesco paradosso dovuto anche a una democratizzazione dell’informazione, che noi fruitori non siamo evidentemente in grado di controllare integralmente.
Giorgio De Chirico negli anni Settanta ridipingeva i suoi soggetti metafisici datandoli a cinquant’anni prima; negli anni Novanta Maurizio Cattelan impostava parte della sua poetica su concetti affini al dualismo vero-falso, per sugellare un’attitudine che è dentro di noi e che ha riguardato in maniera capillare il XX secolo in ambito politico, sociale, economico e culturale. In questo grande Fake di Loredana Longo perdura anche tutto questo, perché Fake è, anzitutto, un archetipo.